Il climatologo, al festival sulla meteorologia a Rovereto, sulle fake news sui cambiamenti climatici: «Trump e Musk cani sciolti al potere»
«Ho sentito così tante stupidaggini da parte dei negazionisti climatici che potrei scriverci un libro». Luca Mercalli, divulgatore scientifico e climatologo di fama nazionale, ha da sempre a che fare con persone che propagano fake news sul clima. Dai famosi cantanti che dicono che le piogge di Valencia sono state causate dall’inseminazione delle nuvole, fino a chi dice che bastava pulire i tombini per evitare le ultime alluvioni avvenute in Italia. E anche per questo motivo ieri , 14 novembre, dal palco della decima edizione del festivalmeteorologia di Rovereto ha chiesto a tutte le istituzioni di climatologia di unirsi per smentire le fake news: «La presa di posizione di un istituto vale più di un singolo».
Professore quante insulti riceve sui social da parte dei negazionisti del clima?
«Sono tantissimi».
Qual è la fake news sul clima più assurda che ha mai sentito?
«Ce ne sono tante. Ma una scemenza che si continua a propagare tra negazionisti del cambiamento climatico è quella di Annibale che riesce a passare le Alpi perché faceva caldo. Basta leggere una banale versione di latino e di greco della quarta ginnasio per apprendere che Annibale passa le Alpi nel 218 A.C nella neve e molti soldati ed elefanti muoiono di freddo. Siamo arrivati addirittura a stravolgere la natura delle fonti storiche».
Lei risponde di solito a queste “bufale”?
«Ormai non rispondo più perché gli insulti sono praticamente infiniti e sono una macchina infernale che farebbe perdere tempo prezioso della propria vita. Come diceva Winston Churchill, “Non arriverai mai alla tua meta se ti fermerai a tirare pietre a tutti i cani che abbaiano”».
Pensa che bisognerebbe dare spazio sui vari media a chi afferma che il cambiamento climatico non esista?
«È giusto nella libertà delle opinioni fare parlare tutti, ma quando c’è una sostanziale acquisizione scientifica di lunga data non è più giusto dare voce a chi ritorna indietro di 50 anni. Oggi dovremmo parlare soltanto delle soluzioni e siamo ancora fermi a dire se è vero oppure no. È come un medico che ha fatto ormai la diagnosi, bisogna parlare della medicina non ancora se il paziente sia malato o meno».
Come reagisce quando si trova a discutere in tv con qualche negazionista?
«Adesso ho smesso di andare in programmi dove ci sono i negazionisti. Un paio di anni fa fui invitato a Cartabianca di Bianca Berlinguer. Ad un certo punto interviene il giornalista Francesco Borgonovo e attacca tutta la scienza del clima e le istituzioni dicendo che l’Ipcc (il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, Ndr) è un covo di scienziati deviati pagati per interessi economici. Io ho fatto una difesa ufficiale dell’Ipcc, poi la trasmissione è degenerata e sono stato costretto ad andarmene come segno di protesta. Inutile argomentare con un terreno così asimmetrico. Sarebbe stato bello che il giorno dopo l’Ipcc avesse fatto un reclamo garbato alla Rai, ma quasi sempre non si fa niente. A furia di ripetere queste menzogne il pubblico pensa: o hanno ragione loro o queste istituzioni sono indifferenti».
Come pensa si comportino i media per quanto riguarda il racconto del cambiamento climatico?
«Al momento non c’è ancora una visione omogenea, ci sono singole sensibilità all’interno delle varie testate mentre bisognerebbe avere una visione molto più compatta. Certe volte si fa un pessimo servizio mettendo a confronto delle opinioni che ormai non hanno più nessun fondamento scientifico creando una grande confusione nel pubblico. Il codice deontologico del giornalista dice che il primo obiettivo è dire la verità o comunque avvicinarsi il più possibile ad essa».
Per questo motivo serve una comunicazione istituzionale unita per quanto riguarda il clima?
«Quando sentiamo dati sbagliati e critiche infondate finora non si è mai risposto. Questo l’abbiamo fatto negli ultimi 30 anni. Ma questi messaggi sbagliati fanno presa perché sono facili, sono populisti e se non vengono contrastati entrano nella società. Un conto sono i singoli ricercatori che parlano a titolo personale. Un conto sono invece istituzioni che hanno un prestigio e un’autorevolezza che deve essere usata. Quando un cane sciolto abbaia contro l’istituzione, questa può scrivere una garbata lettera a una redazione e dire che quella dichiarazione è offensiva».
Ma quando il «cane sciolto» è una persona potente come Donald Trump o Elon Musk cosa si può fare?
«Questo è il prodotto dell’aver lasciato per tanti anni questo terreno scoperto. I cani sciolti pian piano sono arrivati a condurre il gregge e sono diventati presidenti o funzionari di Stato. Però per fortuna in Europa non è ancora così. La ricerca scientifica di qualità è un patrimonio pubblico che noi vogliamo diffondere e difendere».
Adesso è in corso la Cop29 a Baku. Quanto tempo abbiamo ancora per cercare di scongiurare il disastro climatico?
«Teoricamente non ne abbiamo più: i danni climatici sono già in corso e avremmo dovuto cominciare più di trent’anni fa in modo concreto a ridurre le emissioni. Tutte le convenzioni sul clima dal 1992 ad oggi sono tutta carta sulla carta, ma nei fatti le emissioni stanno continuando a salire anche a nove anni dalla firma dell’accordo di Parigi. Possiamo dire che c’è ancora tempo per evitare lo scenario peggiore, ma da un punto di vista del danno climatico quello che è fatto è fatto».
Quindi le alluvioni di Valencia, in Sicilia e in Emilia-Romagna ormai sono diventate normalità?
«Oggi sono eventi eccezionali se li confrontiamo con il clima del passato, ma rischiano di diventare addirittura degli eventi moderati rispetto a quelli che potranno capitare fra 10, 20 o 50 anni».
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